Ogni mattina, milioni di persone accendono lo schermo del telefono prima ancora di guardare fuori dalla finestra.
Viviamo nell'epoca più connessa della storia, eppure non siamo mai stati così distanti dalla realtà.
In questo oceano di connessioni virtuali, stiamo davvero trovando ciò di cui abbiamo bisogno?
Era il 2000 quando mi collego a internet per la prima volta. Il modem... ma voi ve lo ricordate il modem? Faceva questo suono... sembrava un robot che aveva litigato con la moglie, o un alieno che provava a ordinare una pizza. E poi, ecco, arriva il messaggio: "connessione stabilita". E tu lì, che ti senti come Cristoforo Colombo quando ha visto l'America.
Ma le pagine web... Madonna mia, le pagine web del 2000. Era come entrare in una discoteca degli anni Ottanta gestita da un bambino di cinque anni. GIF che lampeggiavano come semafori impazziti, scritte che brillavano più delle luminarie di Natale. Un delirio totale. Però, sai che ti dico? In mezzo a tutto quel caos, io vedevo il futuro.
Ero giovane, avevo ancora tutti i capelli a loro posto. E pensavo: "Ecco, questa roba qui cambierà tutto. Le persone si connetteranno, i sogni voleranno da una parte all'altra del mondo come piccioni viaggiatori digitali."
Così, da bravo sognatore, mi metto a studiare informatica. Ogni riga di codice che scrivevo era come piantare un semino in questo giardino del futuro che avevo in testa.
E oggi? Oggi che sono qui, con qualche capello in meno e qualche illusione persa per strada, mi fermo e mi chiedo: ma alla fine, questa tecnologia, ha mantenuto le promesse? O ci ha fregati come un venditore di pentole alla fiera?
Perché, senti qua, doveva darci più tempo libero. Più tempo! E invece eccoci qui, tutti quanti con gli occhi incollati agli schermi come mosche su una finestra sporca. Facciamo tutto più veloce, questo è vero. Ma sai che è successo? Che la lista delle cose da fare è cresciuta come l'erba cattiva dopo la pioggia.
E le notifiche... ah, le notifiche! Sono diventate come quel cliente antipatico che ti telefona sempre quando stai per sederti a tavola. Ti assediano, ti fanno vivere con questa ansia costante che ti stai perdendo qualcosa di importante. Ma cosa? Un gatto che suona il pianoforte? La foto del pranzo della cugina di tua moglie?
Poi c'è questa storia dell'essere "iperconnessi". Siamo sempre online, sempre raggiungibili, sempre presenti. Ma presenti dove? Perché quando guardo le persone per strada, vedo degli zombie che camminano a testa bassa, ognuno nel suo mondo parallelo. Siamo connessi con tutto il globo, ma sconnessi da chi ci sta seduto accanto.
E l'informazione? Doveva renderci più intelligenti, più preparati. E invece ci ha trasformati in collezionisti di stupidaggini. Sappiamo tutto sulla vita privata di persone che non conosciamo, ma non ricordiamo il compleanno di nostro fratello. Abbiamo il cervello pieno di informazioni inutili come una soffitta piena di robaccia che non si butta mai.
Ma il vero problema non è la tecnologia. Il vero problema è la bugia che ci raccontano. Che tutto quello che ci serve - la felicità, l'amore, la conoscenza, pure la ricetta della pasta alla norma di mia nonna - è a un clic di distanza.
E noi ci crediamo! Come quelli che comprano l'elisir di lunga vita dal ciarlatano al mercato.
Questa favola fa guadagnare miliardi a qualcuno, mentre noi diventiamo sempre più poveri. Non solo di soldi. Poveri di tempo, di attenzione, di presenza. Poveri di vita vera.
Però, senti bene questo: la tecnologia non è né buona né cattiva. È come un coltello. Puoi usarlo per tagliare il pane o per ferire qualcuno. È uno strumento, e il valore sta tutto nell'uso che ne fai.
Non dobbiamo averne paura come la zia Concetta quando vede il computer, e nemmeno resisterle come Don Chisciotte con i mulini a vento. Dobbiamo diventarne consapevoli. Trasformarla da muro in ponte, da rumore in melodia, da labirinto in bussola.
Ogni giorno, ogni santo giorno, possiamo scegliere. Possiamo prendere quel telefono e usarlo per crescere, per imparare qualcosa di nuovo, per chiamare una persona che non sentiamo da troppo tempo. Oppure possiamo lasciare che ci inghiotta in questo pozzo senza fondo di video stupidi e scroll infinito.
Perché la differenza non sta in quante foto metti sui social, ma nella qualità della vita che vivi quando il telefono è spento. Non nei like che collezioni, ma nei sorrisi veri che riesci a strappare alle persone che ami.
È ora di alzare la testa. Di guardare negli occhi chi ci sta davanti. Di riscoprire che il mondo vero, quello che si tocca con le mani e si sente con il cuore, è ancora lì che ci aspetta.
Un consiglio? Silenziate le notifiche. Fate come quando eravate bambini e vostra mamma vi diceva di andare a giocare fuori: uscite, respirate, guardate il cielo. All'inizio vi sembrerà strano, lo so. Come quando smetti di fumare e non sai cosa fare con le mani. Ma poi succede una cosa magica: torni presente. Guardi il mare e lo vedi davvero, senza pensare alla foto da postare.
La tecnologia non ha fallito. Ha solo messo nelle nostre mani più di quanto riuscissimo a gestire. Come dare a un bambino la carta di credito e mandarlo al supermercato.
Sbagliamo noi quando le chiediamo di sostituire quello che non può essere sostituito: un abbraccio vero, una risata condivisa, lo sguardo di chi ti ama. Quelle cose lì non hanno versione digitale.
E quando lo capiremo davvero, sapete cosa succederà? Che il momento più bello della giornata non sarà vedere quanti hanno messo "mi piace" al vostro post. Sarà quando guardate negli occhi una persona che amate e capite che le connessioni più vere, quelle che contano davvero, non hanno bisogno di Wi-Fi.
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Tag: Dipendenza, Abitudini dannose, Benefici delle relazioni, Cambiare abitudini
Negli ultimi dieci anni ho affrontato con passione diverse sfide personali e imprenditoriali, spinto dal desiderio di vivere con intenzione e non schiavo della routine. Miro ad essere sempre più padrone del mio tempo e consapevole delle mie scelte.
Sono l'autore delle Pillole di Consapevolezza, un progetto che incarna questo percorso di crescita e riflessione.
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