Tutti abbiamo un piano, finché qualcosa non va storto.
Proprio quando pensiamo di aver previsto ogni dettaglio, di aver costruito la strada ideale verso i nostri obiettivi, ecco che il destino ci mette davanti a un bivio inaspettato.
Hai mai pensato al piano B?
Avete mai visto una mosca sbattere contro un vetro?
Ci va dritta. BAM. Poi di nuovo. BAM. Mille volte.
Non cambia direzione. Non si ferma a chiedersi se c'è un altro modo.
Sbatte, si ostina, e alla fine muore.
Mezzo metro più in là c'era una porta aperta, ma la mosca era troppo impegnata a dimostrare a se stessa che ce l'avrebbe fatta. Che sarebbe passata di lì. Che mollare voleva dire fallire.
Noi, spesso, siamo quella mosca.
Ci fissiamo sul nostro "piano A" come se fosse scolpito sulla pietra:
Il lavoro che abbiamo scelto a vent'anni;
La relazione sterile e tossica che "ormai dura da troppo tempo per lasciarla andare";
L'immagine di noi stessi che abbiamo costruito con fatica e che adesso ci incatena.
Continuiamo a sbattere contro quel piano, anche quando non funziona più. Anche quando ci sta lentamente dissanguando. Perché mollare, nella nostra testa, significa perdere. Significa ammettere che forse abbiamo speso anni a costruire qualcosa che non ha più senso.
Ma ecco il punto: Cambiare il proprio piano di vita non è fallire. È crescere.
A volte, quello che crediamo essere la nostra volontà, non è del tutto nostra.
È una proiezione dei nostri genitori, della scuola, della società, delle aspettative di chi ci sta vicino.
Il "piano A" che stiamo difendendo a spada tratta, forse non l'abbiamo nemmeno scelto davvero. Ce lo siamo trovato addosso. E ci serve mantenerlo vivo per non smentirci, per non tradirci, per non smarrirci.
Quando cominciamo a sentire che ci sta stretto, invece di cambiarlo, facciamo quello che tutti fanno: stringiamo i denti. Ci diciamo che è solo un momento. Che è normale. Che in qualche modo i nostri sacrifici saranno ricompensati.
Poi un giorno ci svegliamo e ci accorgiamo che abbiamo passato dieci anni a sbattere contro un vetro. E non è cambiato niente mentre noi siamo profondamente cambiati.
Molti evitano il piano B perché pensano che sia una sconfitta.
Che sia "accontentarsi". Che sia dire al mondo: "Sono un debole. Non ce l'ho fatta."
Ma la verità è più semplice – e più brutale: Il piano B fa paura perché è qualcosa di nuovo che non possiamo prevedere. E non ci piace sentirci vulnerabili.
Meglio continuare a soffrire per qualcosa che conosciamo, che rischiare qualcosa di ignoto. Anche se potrebbe renderci più felici.
La storia è piena di persone che hanno trovato se stesse nonostante il fallimento del piano A.
Steve Jobs, buttato fuori da Apple, ha creato Pixar.
La scrittrice di Harry Potter era una madre single che viveva di sussidi. La scrittura era il suo piano B dopo che tutto il resto era andato a puttane.
Il piano B non è per chi si arrende. È per chi ha il coraggio di guardarsi in faccia e dire: "Così non va più bene. Devo fare qualcosa."
È il locale piccolo e senza insegna che trovi per caso, quando il ristorante fighetto era già pieno.
E lì scopri che il vino è buono, la gente è vera, e tu… finalmente respiri. Scopri che ci sono altri posti, altre vie, altra gente, un'altra vita e una versione di te che non conoscevi.
A volte, succede che il piano B è proprio quel progetto che ci attira, ma che evitiamo perché "non è sicuro". È quel trasferimento, quella virata, quella scelta strana che continua a farci battere il cuore anche se razionalmente sembra una follia.
Non è un ripiego. È spesso la nostra dichiarazione di libertà.
Quindi, non aspettiamo che la vita ci metta in ginocchio per permettere a noi stessi di fare qualcosa di diverso.
Se il piano A non ci rende più vivi, lasciamolo andare.
Il mondo non ha bisogno di gente perfettamente coerente.
Ha bisogno di persone che sappiano quando è il momento di cambiare rotta, di persone abbastanza umili da riconoscere che erano sulla strada sbagliata. E abbastanza coraggiose da prendere una diversa.
Il piano B non è il premio di consolazione. È spesso dove le persone trovano quello che stavano veramente cercando, senza saperlo.
Quindi se il vostro piano A non sta funzionando, rilassatevi. Non significa che avete fallito. Significa che siete umani.
Smettete di tormentarti e iniziate a pensare a cosa volete davvero fare. Non a cosa pensavate di volere fare. A cosa volete fare adesso, con la consapevolezza che avete acquisito.
Il piano B non promette niente. Non c'è garanzia che sarà meglio. Potrebbe essere un disastro. Potrebbe essere dannatamente noioso. Ma, potrebbe essere la cosa migliore che ci sia mai capitata.
In ogni caso, ci garantisce qualcosa che il piano A non può spesso più offrirci: la possibilità di respirare di nuovo. Quella sensazione di quando smettiamo di forzare qualcosa che non funziona e all'improvviso ci accorgiamo che esistono altre opzioni. Altri modi di vivere. Altri modi di essere noi stessi.
Il piano B non è perfetto. Ma è comunque nostro. È una scelta che facciamo con la testa libera, non con la testa piena di aspettative vecchie di dieci anni.
E questo, alla fine, è tutto quello che conta davvero.
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Tag: Piano B, Cambiare vita, Consapevolezza, Opportunità
Negli ultimi dieci anni ho affrontato con passione diverse sfide personali e imprenditoriali, spinto dal desiderio di vivere con intenzione e non schiavo della routine. Miro ad essere sempre più padrone del mio tempo e consapevole delle mie scelte.
Sono l'autore delle Pillole di Consapevolezza, un progetto che incarna questo percorso di crescita e riflessione.
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