A volte il caos interiore è assordante.
Come una radio che trasmette mille stazioni contemporaneamente, le nostre emozioni possono creare una cacofonia che ci lascia disorientati.
Cosa accadrebbe se abbassassimo il volume della nostra resistenza e ci concedessimo il silenzio dell'ascolto?
Non so voi, ma io ho notato una cosa. Noi esseri umani, che ci sentiamo così moderni con gli smartphone, i tutorial su YouTube e pure le previsioni meteo a due settimane – che poi sbagliano anche quelle – in realtà siamo rimasti primitivi quando si parla di emozioni. Arriva un sentimento un po' forte e noi… puff! Spariti. Come conigli che scappano appena il cane del vicino muove la coda.
Pensateci: vi arriva addosso la tristezza, la rabbia, o quella sensazione indefinita che non ha nemmeno un nome. E voi cosa fate? Niente. Vi mettete a correre come Usain Bolt alla finale dei mondiali. Oppure fate finta di niente, come quelli che abbassano lo sguardo quando passa il controllore sul treno senza biglietto.
E se proprio non ce la fate a ignorarla… via di anestetico: un aperitivo, una sigaretta, tre ore a scrollare video di gattini. Basta non sentirla.
Il problema è che funziona come col mal di denti: prendi l'antidolorifico, il dolore passa, sì… ma la carie va avanti. Perché il dolore, come le emozioni, non è lì per farvi un dispetto. È lì per dirvi: “Ehi, amico, c’è qualcosa che non va.”
E le emozioni, in effetti, sono proprio questo: dei messaggeri.
È come il postino che arriva con una raccomandata. Voi fate finta di non esserci in casa, chiudete le tende, vi muovete in punta di piedi. Ma quello suona, suona ancora, lascia l’avviso, ritorna il giorno dopo. E alla fine… vi trovate in fila tre ore alle Poste per ritirare una bella multa da pagare per intero.
Ecco: le emozioni funzionano così. Più le evitate, più diventano insistenti.
E poi ci lamentiamo: “Non capisco cosa mi succede, mi sento confuso.” Ma scusate, come volete capirlo se non vi fermate mai ad ascoltare?
La verità è che abbiamo paura. Paura dell'intensità, paura di scoprire qualcosa che non ci piace, paura che l'emozione ci cambi.
Così ci imbottiamo di “tranquillanti” emotivi: ansia? Pillolina. Tristezza? Pizza gigante. Rabbia? “No no, va tutto bene” con sorriso finto incorporato.
Prendiamo la colpa. Quante volte vi siete sentiti in colpa per aver detto di no? Come se dire no fosse un crimine contro l'umanità. Quella colpa non è lì per torturarvi. È un GPS emotivo che vi sta dicendo: “Hai paura che non ti amino se smetti di sacrificarti sempre.” Ma voi niente: zitti quella voce e andate avanti a dire sì a tutto, finché non vi accasciate.
E la rabbia? Quella che esplode quando vi tagliano la strada o un collega fa una battutina? Non parla di adesso. È roba vecchia. È la voce di tutte le volte che avete ingoiato, che avete fatto un passo indietro, che vi siete lasciati calpestare. È la parte di voi che dice: “Oh! Ora basta!” Ma invece di ascoltarla, vi sentite pure in colpa per essere arrabbiati.
Ogni emozione è una bussola. Indica qualcosa. Solo che noi la ignoriamo, e finiamo a camminare in tondo per anni.
Le emozioni sono come i bambini piccoli: non mollano. Più le ignori, più strillano. E l'unica cosa sensata da fare è fermarsi, respirare, e dire: “Ok, che mi vuoi dire?”
Perché, alla fine, dietro ogni emozione c’è un messaggio. Un invito a conoscere meglio noi stessi.
Non è una guerra da vincere, non c'è un nemico da sconfiggere. C'è solo una parte di noi che prova, con molta pazienza, a farsi ascoltare.
E allora, forse, è arrivato il momento di smetterla di correre e iniziare ad ascoltare.
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Tag: Caos interiore, Emozioni intense, Chiedersi perché, Consapevolezza di sè
Negli ultimi dieci anni ho affrontato con passione diverse sfide personali e imprenditoriali, spinto dal desiderio di vivere con intenzione e non schiavo della routine. Miro ad essere sempre più padrone del mio tempo e consapevole delle mie scelte.
Sono l'autore delle Pillole di Consapevolezza, un progetto che incarna questo percorso di crescita e riflessione.
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