Ancora oggi, il rifiuto è il movente di molti omicidi.
Eppure, dovrebbe essere espressione fondamentale di libertà, un diritto in nessun modo negoziabile.
Si può morire per un "no"?
C'è un silenzio che pesa. È quello che rimane quando una libertà viene calpestata, quando un confine viene ignorato, quando un "no" diventa pericoloso. Quando i notiziari, con monotona regolarità, ci raccontano di un'altra vita spezzata per un rifiuto.
Dire "no" dovrebbe essere naturale come respirare. Un gesto umano fondamentale che afferma autonomia, consapevolezza, autodeterminazione. Eppure, ancora oggi, quel "no" si trasforma in colpa, in rischio, talvolta in sentenza di morte.
Quel "no" continua a essere interpretato come un'offesa imperdonabile, una sfida all'orgoglio ferito di chi non accetta di non essere al centro dell'universo altrui.
Questo accade quando l'amore viene confuso con il possesso. Quando il desiderio viene scambiato per diritto acquisito. Quando il rifiuto dell'altro non è visto come una scelta, ma come insopportabile limitazione del proprio ego.
Sono queste le convinzioni tossiche che dobbiamo sradicare, dentro noi stessi e nel tessuto culturale che ci plasma.
La società ci educa alla vittoria, alla persuasione, al mito del "volere è potere". Ma tragicamente dimentica di insegnarci a perdere con dignità. A essere respinti senza trasformarci in mostri. A lasciar andare senza l'impulso di distruggere ciò che non possiamo possedere o accettare.
Così, quando incontriamo quel "no", non riusciamo ad accettarlo. Lo respingiamo. Lo viviamo come umiliazione insopportabile, come affronto personale, come ingiustizia cosmica. E cerchiamo vendetta anziché accettazione e pace.
La narrativa dominante esalta chi non si arrende mai, chi insiste fino allo stremo, chi persevera nonostante tutto. Ma questo agire diventa tossico quando inizia a violare l'esistenza dell'altro, quando soffoca la sua voce, quando calpesta la sua libertà fondamentale di scegliere.
Ogni essere umano possiede il diritto inalienabile di pronunciare quel "no". Di non voler essere ciò che altri desiderano. Di non voler concedere ciò che altri pretendono. Di non voler restare dove non sente più di appartenere.
Abbiamo disperato bisogno di nuove parole, nuovi modelli, nuove grammatiche emotive. Dobbiamo forgiare una generazione che sappia perdere con eleganza e che sappia amare e lottare senza annullare l'altro.
Chi non riesce ad accettare un rifiuto non ha bisogno di consolazione, giustificazione o incoraggiamento. Ha solo bisogno di comprendere, nel profondo, che la libertà dell'altro è sacra e viene prima di qualsiasi desiderio personale. Che la propria libertà finisce dove inizia quella altrui.
Siamo liberi di amare con tutta l'intensità di cui siamo capaci e altrettanto liberi di non farlo. Di restare, con convinzione. O di andare via, senza spiegazioni. E questo esercizio di libertà non deve mai essere, in nessuna circostanza, una colpa da espiare.
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Negli ultimi otto anni ho intrapreso numerose sfide personali e imprenditoriali. Ogni giorno mi impegno affinché la mia quotidianità sia il riflesso del mio desiderio e non una passiva routine. Miro ad essere sempre più padrone del mio tempo e consapevole delle mie scelte.
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