Pillola UNxCENTO

Liberi di dire noIl rifiuto non è una scelta negoziabile

Pillola N. 94
Foto di Andrea Mangano
Autore
A. Mangano
Intro alla pillola

Ancora oggi, il rifiuto è il movente di molti omicidi.

Eppure, dovrebbe essere espressione fondamentale di libertà, un diritto in nessun modo negoziabile.

Si può morire per un "no"?

C'è un silenzio che pesa. È quello che rimane quando una libertà viene calpestata, quando un confine viene ignorato, quando un "no" diventa pericoloso. Quando i notiziari, con monotona regolarità, ci raccontano di un'altra vita spezzata per un rifiuto.

Dire "no" dovrebbe essere naturale come respirare. Un gesto umano fondamentale che afferma autonomia, consapevolezza, autodeterminazione. Eppure, ancora oggi, quel "no" si trasforma in colpa, in rischio, talvolta in sentenza di morte.

Quel "no" continua a essere interpretato come un'offesa imperdonabile, una sfida all'orgoglio ferito di chi non accetta di non essere al centro dell'universo altrui.

Questo accade quando l'amore viene confuso con il possesso. Quando il desiderio viene scambiato per diritto acquisito. Quando il rifiuto dell'altro non è visto come una scelta, ma come insopportabile limitazione del proprio ego.

Sono queste le convinzioni tossiche che dobbiamo sradicare, dentro noi stessi e nel tessuto culturale che ci plasma.

La società ci educa alla vittoria, alla persuasione, al mito del "volere è potere". Ma tragicamente dimentica di insegnarci a perdere con dignità. A essere respinti senza trasformarci in mostri. A lasciar andare senza l'impulso di distruggere ciò che non possiamo possedere o accettare.

Così, quando incontriamo quel "no", non riusciamo ad accettarlo. Lo respingiamo. Lo viviamo come umiliazione insopportabile, come affronto personale, come ingiustizia cosmica. E cerchiamo vendetta anziché accettazione e pace.

La narrativa dominante esalta chi non si arrende mai, chi insiste fino allo stremo, chi persevera nonostante tutto. Ma questo agire diventa tossico quando inizia a violare l'esistenza dell'altro, quando soffoca la sua voce, quando calpesta la sua libertà fondamentale di scegliere.

Ogni essere umano possiede il diritto inalienabile di pronunciare quel "no". Di non voler essere ciò che altri desiderano. Di non voler concedere ciò che altri pretendono. Di non voler restare dove non sente più di appartenere.

Abbiamo disperato bisogno di nuove parole, nuovi modelli, nuove grammatiche emotive. Dobbiamo forgiare una generazione che sappia perdere con eleganza e che sappia amare e lottare senza annullare l'altro.

Chi non riesce ad accettare un rifiuto non ha bisogno di consolazione, giustificazione o incoraggiamento. Ha solo bisogno di comprendere, nel profondo, che la libertà dell'altro è sacra e viene prima di qualsiasi desiderio personale. Che la propria libertà finisce dove inizia quella altrui.

Siamo liberi di amare con tutta l'intensità di cui siamo capaci e altrettanto liberi di non farlo. Di restare, con convinzione. O di andare via, senza spiegazioni. E questo esercizio di libertà non deve mai essere, in nessuna circostanza, una colpa da espiare.

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Prendi qualche minuto per riflettere e rispondere a queste domande. Potrebbero darti una consapevolezza nuova su te stesso e sulla tua vita.

  • 1. Quando qualcuno mi dice “no”, come reagisco davvero, dentro di me e nel mio comportamento?
    Cerco di ascoltare il motivo dietro al rifiuto e mi chiedo se sto chiedendo qualcosa di invadente.
    Accetto il “no” senza metterlo in discussione, e mi prendo un momento per riflettere sul mio bisogno frustrato senza riversarlo sull’altro.
    Mi sento respinto o non considerato e tendo a insistere, anche se con gentilezza, perché penso che forse non ha capito bene.
    Mi irrito, magari non lo mostro apertamente, ma dentro inizio a giudicare quella persona come egoista o poco disponibile.
  • 2. Riesco a distinguere i miei bisogni da quelli degli altri senza sovrapporli o proiettarli?
    Quando ho un bisogno, cerco di comunicarlo chiaramente senza aspettarmi che l’altro lo soddisfi automaticamente.
    Riconosco che gli altri possono avere bisogni diversi dai miei anche in situazioni simili, e questo non mi fa sentire sminuito.
    Tendo a credere che se qualcosa è importante per me, dovrebbe esserlo anche per l’altro.
    A volte mi accorgo che manipolo la situazione per far sembrare che un mio bisogno sia “comune” o “oggettivo”, così è più difficile che venga negato.
  • 3. Riesco a lasciare che gli altri siano se stessi, anche quando fanno scelte che non approvo o non capisco?
    Accolgo il fatto che la loro libertà non deve rispecchiare la mia, e che la diversità non è una minaccia.
    Mi interesso alle loro motivazioni con curiosità autentica, anche se non condivido la scelta.
    Sento il bisogno di “correggere” o “educare” l’altro, come se la mia visione fosse più matura o consapevole.
    Inizio a prendere le distanze emotive da chi si comporta in modo troppo diverso, pensando che non sia più “compatibile” con me.
  • 4. Quando mi viene posto un limite, riesco a percepirlo come un confine sano e non come un attacco personale?
    Lo vedo come un’occasione per ricalibrare la relazione e comprendere meglio i bisogni reciproci.
    Riesco a dire a me stesso: “Questo limite non è contro di me, ma per l’altro”, e lo rispetto anche se non lo condivido pienamente.
    Mi sento immediatamente rifiutato o svalutato e reagisco con chiusura o distacco.
    Tendo a prendere quei limiti come sfide da superare o come ostacoli da rimuovere con arguzia o insistenza.
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Andrea Mangano

Lavoro nel mondo digitale.
Negli ultimi otto anni ho intrapreso numerose sfide personali e imprenditoriali. Ogni giorno mi impegno affinché la mia quotidianità sia il riflesso del mio desiderio e non una passiva routine. Miro ad essere sempre più padrone del mio tempo e consapevole delle mie scelte.

Sono l'autore di UNxCENTO.
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