Pillola 96

Chiudere i cerchiL'arte di lasciare andare

Autore della Pillola
Autore
A. Mangano
Intro alla pillola

Alcune cose finiscono molto prima di quando ce ne accorgiamo.

Ma continuiamo a tenerle in vita per nostalgia, per abitudine, per non restare soli.

E se fosse proprio quel trattenere a impedirci di rinascere?

Allora, facciamo questo gioco qui. Pensiamo a tutte quelle cose che ci stanno succhiando l'anima piano piano, senza che neanche ce ne accorgiamo. Non parlo di roba drammatica, eh. Parlo di quella morte lenta che è peggio di tutto.

Tipo quelle amicizie dove ormai parliamo solo del tempo che fa. O quel lavoro che okay, ti paga lo stipendio, però ogni mattina quando suona la sveglia una parte di te muore un pochino. O quelle storie d'amore che sono diventate tipo quelle piante che tieni sul balcone, che non sono morte ma neanche vive, le annaffi per abitudine ma non fioriscono più da anni.

E noi cosa facciamo? Niente. Restiamo lì. Perché? Perché ci hanno insegnato che restare è da persone serie, da persone fedeli. Ma chi l'ha detto?

A volte restare è solo un modo elegante per sabotarsi.

Non è che siamo scemi, eh. È che siamo terrorizzati. Terrorizzati dal dopo. Da quello che succede se diciamo basta. Perché se quella cosa finisce, chi siamo noi senza? È questo che ci fa paura.

Il problema è che nella vita vera non c'è il semaforo che diventa rosso quando devi fermarti. Non ti arriva la raccomandata che dice "Ehi, questa storia qui è scaduta, cambia tutto". No. Ti arrivano solo quei segnali fastidiosi che cerchi di ignorare. Quel peso sullo stomaco quando ti alzi la mattina. Quella vocina che ti dice "Ma cosa sto facendo qui?" e tu le rispondi "Zitta, che ho sempre fatto così".

Ecco, l'abitudine è la droga più forte che esiste. Non ti fa sballare, non ti dà euforia, ma ti tiene buono.

Ti fa credere che siccome hai sempre fatto così, allora va bene così. Ma intanto dentro diventi un fantasma.

E poi aspettiamo sempre il disastro per cambiare. Aspettiamo che ci lascino per andarcene. Che ci licenzino per cercare un altro lavoro. Che crolli tutto per ricostruire. Perché sembra che senza dramma non abbiamo il permesso di cambiare vita.

Invece dovremmo avere il coraggio di dire semplicemente: "Questo capitolo è finito. Punto". Non "forse", non "vediamo come va", non "ancora un po'". Punto e basta.

Lo so che fa paura. Lo so che sembra di tradire tutto quello in cui abbiamo creduto. Ma la verità è che tradisci te stesso quando resti fedele a decisioni prese da quella persona che non sei più. È come se continuassi a indossare i vestiti di quando avevi quindici anni. Ridicolo, no?

Nessuno ti farà i complimenti quando mollerai. Nessuno ti darà una medaglia quando dirai basta. Ma sai cosa? Certe cose non si fanno per gli applausi. Si fanno per non perdere se stessi per strada.

È strano, ma quando finalmente ti decidi a chiudere quella porta che dovevi chiudere da tempo, non trovi il vuoto che temevi. Trovi aria. Trovi spazio. Trovi finalmente la possibilità di diventare chi stavi cercando di essere da sempre, ma non avevi mai il posto per farlo.

Quindi, quando arriva quel momento, e dentro lo sai quando arriva, chiudi. Con gratitudine per quello che è stato, ma senza rimpianti. Anche se non sai cosa c'è dopo. Anzi, soprattutto se non lo sai. Perché solo quando smetti di occupare tutto lo spazio con le cose finite, la vita trova il modo di sorprenderti con quelle nuove.

© Riproduzione riservata - 02/05/2025
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Tag: Lasciare andare, Coraggio, Consapevolezza, Accettare la vita

Autore della Pillola
Andrea Mangano

Negli ultimi dieci anni ho affrontato con passione diverse sfide personali e imprenditoriali, spinto dal desiderio di vivere con intenzione e non schiavo della routine. Miro ad essere sempre più padrone del mio tempo e consapevole delle mie scelte.

Sono l'autore delle Pillole di Consapevolezza, un progetto che incarna questo percorso di crescita e riflessione.

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Prendi qualche minuto per rispondere a queste domande. Potrebbero darti una consapevolezza nuova su te stesso e sulla tua vita.

Domanda 1
Sto vivendo secondo ciò che desidero o secondo ciò che mi è familiare?
  • Mi sto spingendo fuori da ciò che conosco perché voglio crescere, anche se fa paura.
  • Sto imparando a distinguere tra “mi rassicura” e “mi rispecchia davvero”.
  • Continuo a scegliere ciò che mi è noto, anche se mi logora, perché almeno so cosa aspettarmi.
  • Confondo la comodità con la felicità e mi racconto che va bene così, anche se so che non è vero.
Domanda 2
Quando penso a una certa persona/situazione/luogo, sento energia o esaurimento?
  • Sento stimoli, curiosità, voglia di creare qualcosa di nuovo con quella presenza nella mia vita.
  • Avverto un senso di pienezza: anche se faticoso, mi arricchisce e mi fa sentire vivo.
  • Mi sento prosciugato, ma continuo per abitudine o senso di colpa.
  • Avverto una stanchezza sorda che non se ne va, ma non ho ancora trovato il coraggio di affrontarla.
Domanda 3
Mi sto aggrappando a qualcosa per paura di non trovare di meglio?
  • No, sto scegliendo consapevolmente e con fiducia, non per carenza ma per allineamento.
  • Ho accettato che lasciare andare non significa rinunciare, ma fare spazio al possibile.
  • Sì, perché l'idea di "ripartire da zero" mi terrorizza più di qualunque insoddisfazione attuale.
  • Resto fermo perché almeno qui conosco i limiti. L'ignoto mi sembra troppo rischioso.
Domanda 4
C’è coerenza tra i miei valori attuali e le scelte che continuo a portare avanti?
  • Sì, sto ricalibrando costantemente le mie scelte per restare fedele a chi sto diventando.
  • Ho imparato a lasciare andare ciò che non riflette più la mia etica interiore.
  • No, ma continuo perché mi sento “in trappola” in una narrazione che non ho il coraggio di cambiare.
  • Sto difendendo decisioni prese da una versione di me che ormai non mi rappresenta più.
Domanda 5
Cosa mi trattiene dal chiudere quel capitolo che so essere finito?
  • Solo la paura temporanea del vuoto, ma so che è il prezzo da pagare per la libertà.
  • Un senso di rispetto per il passato, che sto trasformando in gratitudine e non in zavorra.
  • L'illusione che, se resisto ancora un po’, magari le cose tornano come prima.
  • Il timore di ferire qualcuno, anche se sto lentamente ferendo me stesso.